domenica, gennaio 28, 2007

costruire futuro

Dispiace constatare, a fronte dei rilievi mossi sulla stampa all’azione di governo provinciale e del suo Presidente, il silenzio assordante della Margherita in questi giorni; forse manca il coraggio di esporsi, forse, distratti da altre urgenze, si è portati a pensare che tutto questo ben poco centri con le responsabilità del partito e che siano – in fin dei conti - affari della giunta.
Forse…
Rimane il fatto che mentre il principale giornale del Trentino attacca l'intero operato della giunta di centrosinistra autonomista e il suo Presidente, il principale partito della maggioranza e i suoi numerosi consiglieri rimangono silenti, quasi tramortiti. Credo lo abbiano pensato in molti in questi giorni: “troppo comodo invocare il Principe ad ogni snodo complesso, rivolgersi alla sua mediazione per ogni difficoltà, e poi dimenticarsi di sostenere, non acriticamente ovviamente, il suo operato politico e amministrativo”.
Ulteriore aspetto, più rilevante: quello che in realtà si è aperto negli ultimi giorni è un importante dibattito che pone al centro un’analisi della situazione politico-amministrativa trentina, sui successi e sui fallimenti del governo provinciale. È positivo ciò sia accaduto: è l'accountability direbbero gli anglosassoni. Ebbene, molto di buono è stato realizzato, come ricorda il bilancio che ha fatto Salvatori nel suo commento di mercoledì. Riforma istituzionale, riforma della scuola, nuovo PUP, nuovo piano di sviluppo, riforma della ricerca e dell'ITEA, politiche per i giovani e a sostegno dell'impresa: tante cose si sono fatte, ma il Trentino - come ricorda Parolari - non le sa o non le vuole vedere, probabilmente perché gli effetti delle riforme per definizione si misurano sul lungo periodo.
Detto questo, credo tuttavia che un osservatore che cerchi di essere imparziale non possa non riconoscere uno stato di difficoltà del sistema politico trentino, in un momento di generale confusione e incertezza, contrassegnato da una litigiosità e da un egoismo corporativo che non giova. Ma la responsabilità è veramente tutta della solita politica lontana dalla gente? Ho sempre diffidato sia da chi difende a spada tratta la (propria parte) politica sia chi imputa alla stessa la causa di ogni male. Forse le responsabilità sono diffuse. La politica - concordo - non è stata all'altezza. Dirò di più: il centrosinistra ha deluso, soprattutto nella sua componente consiliare. Ma quello che più preoccupa, a mio avviso, è il crescente egoistico localismo che si sta diffondendo ad ogni livello della società, oltre che della politica. Non mi riferisco alla propensione a chiuderci entro i confini provinciali, disinteressandoci a quanto accade nel mondo, in Europa, in Italia, bensì alla tendenza a guardare sempre e solo al proprio orticello, per quanto piccolo sia, perdendo la capacità di una visione d’insieme: consiglieri provinciali con il compito di favorire la propria valle; comuni interessati ai contributi provinciali, con cui realizzare opere magari non necessarie e presenti nel comune vicino (“è una spesa superflua? Tanto non grava sul bilancio del comune, i soldi li mette la Provincia”); amministratori attenti più (solo?) alla propria frazione di provenienza che al comune in generale. Ma i cittadini? Votano l’esponente locale alle elezioni provinciale o comunali, non solo in quanto esponente di una visione positivamente territoriale, ma in quanto garante delle rivendicazioni di Valle o di frazione; al politico viene chiesto il piacere, il favore, non la tutela di un diritto o la realizzazione di un progetto. Naturalmente sto semplificando, per far capire che anche in Trentino, emblema di quell’atavico senso di solidarietà e di comunità proprio della gente di montagna, si è ormai diffuso un individualismo rivendicativo che mina le fondamenta della nostra comunità.
Ma la politica in generale, ed il centrosinistra in particolare, non possono permettersi oggi di amplificare la divisione, l’idea del clientelismo, della spartizione, del favoritismo agli amici.
Al contrario la politica oggi è chiamata più che mai ad essere forza centripeta, nucleo aggregante di una realtà frammentata, collante di un destino comune. Se davvero siamo depositari e interpreti alti di una visione di futuro, dobbiamo uscire dagli schemi novecenteschi della miriade di partiti e partitini imbrigliati nella tattica della ricerca del consenso, obbligati a distinguersi per conquistare l’elettorato di riferimento.
Certo, la strada non è facile, e forse neanche breve, ma occorre intraprenderla senza esitazioni.
Creiamo un luogo libero, aperto al contributo di tutti, partiti politici ma soprattutto mondi del volontariato, dell’associazionismo, della cultura, dell’economia, semplici cittadini, senza rivendicazioni, senza paletti precostituiti, che vada oltre le contingenti scadenze elettorali. Ecco perché stiamo cercando di costruire una scuola di formazione politica. Ma essa deve necessariamente essere libera, deve muoversi oltre i partiti! Penso ad un luogo capace di ricostruire il desiderio di impegnarsi, approfondire, capire, progettare, elaborare, proporre. Un luogo che non persegua l’indottrinamento di partito ma lo sviluppo della capacità critica, rivolto non alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni.
Occorre ripartire, tornando al cuore e alla mente della nostra gente. Di bilanci sommari faziosamente proposti da questo o da quello, così come di accuse e di rivendicazioni fine a se stesse, chi - assieme a me – si batté per rinnovare la Margherita dall'interno, ne ha abbastanza. I silenzi di questi giorni, questa ennesima occasione persa per riconfermare le ragioni della nostra presenza politica indicano che ad ottobre avevamo ragione a dire: o si cambia, o si muore. E ciò vale per tutto il panorama partitico trentino. Partiamo dunque e costruiamo da capo un nuovo soggetto, diffondendo speranza e sogno tra la nostra gente. Le parole d'ordine dovranno essere speranza, futuro, progetto, sogno: come dissi al congresso, finiamola di parlare di partito democratico.
E riparliamo di Trentino.
L'obiettivo è quello di dire quale Trentino vogliamo da qui al 2050 e iniziare a progettarlo e costruirlo. In questo quadro, Lorenzo Dellai è e sarà ancora protagonista, con la lungimiranza di chi sa che il più grande compito dei grandi è creare le condizioni perché quanto di buono si è seminato dia i suoi frutti. D'altra parte lui, nell'intero centrosinistra, ha dimostrato di esser l'unico in grado di farlo. Non sarà solo, però.

mercoledì, gennaio 10, 2007

ALI DI PIOMBO

Per riprendere a parlare di politica "alta", e uscire dai tatticismi di partito, è importante dedicare tempo ed energie all'approfondimento. Partecipando ad incontri e ascoltando relatori preparati, ma anche (soprattutto?) leggendo e rileggendo libri. Oggi ne segnaliamo uno che ripercorre le vicende politiche e sociali del 1977.

ALI DI PIOMBO - di Concetto Vecchio
Bur Rizzoli - in libreria dal 10 gennaio 2006
Questo libro è la cronaca appassionata di un caso italiano: il 1977. Un nuovo Sessantotto, culminato nelle morti tragiche di tre mili­tanti: Francesco Lorusso, Giorgiana Masi, Walter Rossi. Ma è anche l’anno che segna la drammatica ascesa delle Brigate rosse, che a Torino uccidono il presidente dell’Ordine degli avvocati Fulvio Croce e il vicedirettore della “Stampa” Carlo Casalegno. Concetto Vecchio, trent’anni dopo, è tornato a Bologna, Roma, Torino, rivisitando i luoghi di allora, e ha ripercorso gli ultimi mesi di vita di Casalegno e dei suoi assassini. Attraverso quasi quaranta testimonianze, tra cui quelle di Gad Lerner, Ezio Mauro, Diego Novelli, Giancarlo Caselli, Giampaolo Pansa, Gianfranco Bettin, Diego Benecchi, Bifo Berardi, Silvio Viale, Renato Nicolini, racconta l’attacco dei giovani del movimento al Pci, la nascita di Radio Alice, il trionfo della controcultura. Spiccano figure in­dimenticabili come quella di Carlo Rivolta, giovane promessa di “Repubblica” stroncato dalla droga, e di Antonio Cocozzello, un piccolo democristiano che si ritrova incredibilmente nel mirino del terrorismo.

Concetto Vecchio, 35 anni, catanese, è caposervizio al “Trentino” (quotidiano del gruppo Espresso). Scrive su “la Repubblica” e “il Ve­nerdì”. Nella stessa collana ha pubblicato Vietato obbedire (2005), con cui ha vinto il premio Capalbio e il premio Pannunzio.